E proprio in quel di Tarifa, appare per strada Yan, il vagabondo tedesco incontrato in quel di La Linea, un’apparizione dietro un angolo.
‘O ciao,
come va? Non ho casa’
‘Neanch’io’
Perfetto.
Vivere
un giorno per strada è come vivere una settimana con domicilio. Modestamente
posso vantarmi di essere stato quasi un mese per strada secondo questo strano
calcolo, lottando per la sopravvivenza e sopravvivendo per la lotta.
La vita da vagabondo full-time si rivelò i primi giorni meno difficile del previsto, diviso com’ero fra l’aggiustare il budget con qualche canzone suonata per strada e l’inevitabile socializzare con altri “artisti” callejeros.
Qualche uomo ben piazzato mi offre una birra, credendo che il mio Bob Dylan fosse un Cat Stevens,
interessandosi parzialmente alla mia storia, mentre altri mi vedevano solamente
come un altro fottuto barbone trottamondo. Non avevo più rumbo, è vero: aspettavo una non so che manna del cielo che mai
sarebbe venuta a bussarmi alla porta, ma la speranza si era presa una lunga
vacanza, lasciando il destino solo e in cassa integrazione...
Perlomeno la gente di Tarifa non è fredda e noiosa come il vento che perennemente soffia nei vicoli del suo accogliente centro storico. Il nostro pranzo è mezzo chilo di gelato alla panna del discount, aiutati da un solo cucchiaino strautilizzato. In questo frangente si affaccia una signora da una finestra, offrendoci un piatto di paella. 'Mi avanza', mente.
Una
maniera criptata per dirle che le facevamo pena.
Ma si
accetta. Quando si tratta di mangiare, ci si riempie lo stomaco a forza
sfruttando così tutti i momenti in cui si apre una proficua possibilità di
sostentamento fisico.
E non ci
sono regole. Quando capita, capita.
Ti vedi
il portafoglio, conti e non arrivi mai alla decina. Giro l’angolo e con tutta
la calma del mondo vedo Yan che si prende una pizza d’esposizione, una di
quelle che mettono fuori il ristorante per attrarre i clienti.
‘L’avrebbero
buttata comunque’, mi fa offrendomi la mia buona metà.
Suono Eddie Vedder per il lungomare ed una tipa italiana si avvicina e fa: ‘Anch’io la so suonare’.
Lei, col
suo presunto ragazzo, stava senza rumbo,
suonando per strada e vivendo del raccolto, come d’altronde stavamo facendo noi due. Lei era veramente simpatica, interessante e interessata. Perlomeno passammo la serata insieme tutti e quattro, tra una
birretta e un porrito, tra una canzone e una chiacchierata.
Poca
consolazione, visto che il destino l’avevano chiamato per la leva militare e
presto sarebbe dovuto partire per l’imminente guerra.
Ed io con
lui.
| - San Juan, notte del 23 giugno - |
Il vento
continuava a sferzare violento avvicinando l'apoteosi piromana di San Juan, la mitica notte dei fuochi
artificiali e dei falò in spiaggia: il nostro Ferragosto in due parole.
E siamo di nuovo io e Yan, (Bob Dylan e Muddy Waters) con un vino, un fuoco e due chitarre. Il crucco bestemmia quando la mista vola al vento, invocando chissà quale demonio della mala sorte complice di tale atrocità.
Suono i
Delinquentes e magicamente si avvicina gente, chi cantanti di professione, chi
skater internazionali e chi giovani fannulloni. E noi sfruttando la notte, il
fuoco e l’alcol gratis.
Se penso
al San Juan del 2012 posso concludere senza dubbio che non c’è assolutamente alcun paragone fra quello passato a Tarifa e quello passato a Valencia: in quest'ultima città infatti il delirio è maggiore e il vento quasi assente non riesce a sparpagliare i pensieri reconditi.
Mi stava seriamente molestando questo forte incremento voluto da Eolo e, quando
mi dissero che Tarifa vanta il primato nazionale di Tarifa in quanto a suicidi,
non mi sorpresi nel notare un nero malestare flotare invisibile nell’aria come
fumo radioattivo.
Ma forse era il nostro malestare a flotare, a dir la verità, la necessità di un cambio che ci strillava nell'orecchio torcendoci le budella dal dolore.
La polizia ci trovò a mattinata inoltrata accartocciati intorno a un falò morente, obbligandoci a sloggiare dalla spiaggia come due profughi
affumicati.
E quello
eravamo infine. Stavamo male, non potevamo dormire e il vento a volte ci faceva
cadere per terra, deboli noi e forte lui.
Vaffanculo, me ne vado.
Io da
una parte e Yan dall’altra.
‘Puoi
fare tanti soldi per strada ‘che sai un fracco di canzoni’, mi fa col sorriso.
Infine aveva realizzato un sogno quella notte: qualcuno aveva ballato al suo
rock ‘n’ roll.
‘Ora
posso cominciare a prendere il cammino per casa’, mi fa. 'In un paio di mesi chissà arriverò'.
Gli
consiglio di passare per Vejer, tanti turisti e lavoro facile per le sue
quattro canzoni blues. Prometto di andare a trovarlo a Berlino e lo lascio così
alla stazione dei bus, insieme ad un vecchio barbuto inglese con un flauto ed
una grande valigia vuota.
Io mi
dirigo invece per la carretera
direzione Malaga, ultima speranza dell’Andalucia.
L’ultima
speranza in un pollice.

