![]() |
| - Gente di okupa - |
L'Hospitalet de Llobregat, Barcelona
Ultimi giorni di luglio
A parte i
conflitti interni e le ridicole risoluzioni future, la vita all’interno della
Casa Okupa ‘anonima’ (erano passati quattro mesi e ancora non esisteva un nome
per mancanza di un comune accordo) andava avanti dolce e leggera, chi danzando
ritmi egizi, chi cucinando ricche pietanze riciclate e chi rollando l’ennesima
canna. Si passano bei momenti con la buona gente che vive e passa per la
fabbrica abbandonata, fornita di poche regole e tanta buona volontà.
Si chiedono 7 euro la settimana per
contribuire ai costi del pranzo e della cena, pasti “volontariamente” cucinati
dal buon senso di ogni inquilino. Dei tre frigoriferi uno si riserva per i cibi
privati, mentre gli altri sono interamente comuni, permettendo così ai meno
abbienti di godere dei bendidio scartati dalla società, trovati nei cassonetti
o gentilmente offerti da una frutteria che comunque li avrebbe buttati.
‘Riciclo’
è una parola fondamentale nell’etica Okupa, imperniata sulla filosofia
dopoguerresca del nun se butta vie gniente. E così la cucina aveva ora una
forma, le abitazioni (tranne la mia) rispecchiavano la visione capitalistica di
camera da letto e il salone aveva tavoli, sedie e divani come qualsiasi salone
da copertina Ikea. Tutto con gli scarti della gente che lavora.
E già,
perché una buona maggioranza dei miei nuovi coinquilini non lavora nella
maniera propriamente detta. Qualcuno si arrangia con i birilli, qualche altro
con le percussioni e qualcuno prova con molta maestria e pochi alunni a
impartire lezioni di danza. Altri invece, con la scusa del Ramadan, dormono il
giorno e si sfondano di cibo e canne la notte.
Ero
accettato nel gruppo senza mai però riuscire a conquistare la fiducia\simpatia
di tutti. A dispetto della loro apertura mentale, solo poche persone si sono
realmente interessate a me come persona, tralasciando così la mia temporanea
condizione di coinquilinità insita nel mio anonimo arrivo. Una sera si sono
incazzati in massa quando porto a casa un amico portoghese di Yan, incallito
viaggiatore con maglia, pantalone e fisarmonica. ‘Gli ospiti non possono
portare altri ospiti’, mi gridano in faccia. In effetti l’avevo cagata un po’
fuori dal vaso, confermando nuovamente l’antisociale diffidenza delle Okupa
verso quel tipo di viandanti della vita, ad ogni maniera alieni all’idea di
rubare colui che ti aiuta. Bah, infine non credo di aver ucciso nessuno...
Giusto
ieri sono andato a trovare Clemon ed Enrique dopo un anno dalla nostra
despedida e in dettaglio sono riusciti a delinearmi perfettamente i vari step
da seguire per occupare una casa.
1 adocchiare
case o appartamento che sembrano vuoti
2
lasciare una busta o un pezzo di carta sotto la porta. Se dopo vari giorni
ancora permane sotto la porta, significa che la casa è disabitata
3
Chiedere ai vicini di chi è la casa e cercare di contattare il padrone
4 Nel
frattempo entrare abusivamente nella
casa e aspettare l’inevitabile arrivo della polizia.
5a Nel
caso si sia fatto un accordo con il
padrone (per es. mantenere l’immobile pulito e ristrutturarlo), si può mandare
a fanculo la polizia dicendogli: ‘Abbiamo un accordo verbale con il padrone’.
5b Ma,
nel più probabile dei casi, in cui non si avrà avuto un contatto col padrone,
la polizia intimerà di lasciare
l’immobile. Gli occupanti in generale rifiutano di sloggiare alternando
varie risposte come ‘Io ci vivo qua, studio, lavoro e guardo la tv’ o ‘Ho
trovato la porta aperta’ o ‘Mi arrapano le case abbandonate’.
6 Lo sfratto o il processo possono durare
dai due giorni ai dodici mesi, quindi non si è mai sicuri della longevità della
permanenza. In caso di processo, il
99% dei casi si risolve con lo sfratto e assoluzione di reato, e quindi con la
fedina penale pulita. Sono stati registrati casi in cui gli occupanti hanno
avuto la fortuna di capitare in immobili non registrati nel catasto, quindi di
pubblico usufrutto.
Fatto
sta che in conclusione posso senza dubbio affermare che il mondo delle okupa è
un sottomondo da un lato pieno di cultura, lavoro comunitario e autogestione e
dall'altro trasbordante di sfaticati e fannulloni.
