lunes, 28 de octubre de 2013

Algeciras: il sud diventa nord...

- Ci vedremo presto, caro Sud -


Algeciras, ultimi di giugno e pochi kilometri dall'Africa. Passano le ore, il sole se ne va e risorge.
Sono fuori del porto aspettando un passaggio verso nord-est, nel luogo in cui tutti dicono ci sia lavoro: l’antica città dei balocchi, Barcellona.
Sono quasi 1200 kilometri di cammino ma la speranza ancora si cela ambigua dietro la stanca espressione di dolore e rassegnazione disegnata sul mio volto. Molti confessano che pare abbastanza facile fermare qualche famiglia araba che salga verso nord (Francia o Belgio le destinazioni piú classiche dei marocchini), ma dopo molte ore di inutile attesa, mi riprometto di non stare piú a sentire le voci e cominciare a fare di testa mia una volta per tutte.
Ormai i camionisti e quelli del porto mi conoscevano e qualche chiacchierata di tanto in tanto ce la facevo per non perdere la sanità mentale.
L’enorme parcheggio di camion l’avevo spolverato da cima a fondo, chiedendo in qualsiasi lingua un passaggio che mi potesse far uscire da Algeciras. ‘Se vieni a Tanger, ti portiamo’.
Maledetta voglia di garrapateare il Marocco, fermati!
Più di una volta rifiuto e alla terza canta il gallo.
Le prime luci dell’alba si stendono labili sull’infranta idea di andare a Salamanca (un camionista mi aveva promesso di portarmici il giorno che veniva, ma non riuscì a trovarlo di nuovo in quell’enorme parcheggio) e il corpo riposato si sveglia nella sala d’attesa del porto, pronto ad un altro giorno a sventolare il cartello con su scritto ‘Madrid, Barcelona, norte’
Nel piccolo centro storico un matto continua a dare ripetutamente capocciate ad un palo, mentre la gente passa indifferente davanti alla surreale scenetta dello zimbello del villaggio, assurdità replicata fino al livello estremo di sopportazione.

Nelle innumerevoli ore passate ad evitare il sole senza risultati concreti, ho avuto la possibilità, ancora una volta, di volgere la tragicità della mia situazione in uno studio sociologico focalizzando sulla visione della mia immagine per le varie persone incontrate nel cammino. Ognune di queste si è sentita in dovere di aiutarmi, chi più con parole, chi più con fatti…

- Aiuto n.1: Passa un'araba e fa in tono mammesco: 'C'è troppo sole, copriti la testa, pazzo!'
- Aiuto n.2: Passa la polizia e fa feroce: 'Vai dietro la linea se non vuoi che ti schiacci un camion'.
- Aiuto n.3: Passa un'americana e mi da una barretta energetica. 'Made in Denver'
- Aiuto n.4: Si avvicina un prete a curiosare sul mio destino. 'Ma non hai soldi per prendere un bus?', fa. E senza sentire la risposta chiede: 'Sei cattolico o musulmano?'. Suscitai la sua ira quando risposi con un 'pfff', visto che del suo intenzionale aiuto ecclesiastico mi ci potevo benissimo pulire il mio sporco culo. 'Vuoi una Bibbia?', mi fa.
- Aiuto n.5: Una simpatica coppia che mi aveva portato in autostop fino ad Algeciras mi aveva gentilmente offerto 20 euro, come fossi loro figlio. Dopo 36 ore di attesa, decisi di utilizzarli per arrivare a Madrid, e da lì autostop fino a Barcelona.

Qualche raya di cocaina e numerosi porros hanno aiutato i miei ultimi salvatori a portarmi sano e salvo nella stazione di servizio sull’autostrada più vicina alla capitale catalana.
Castellbisbal, di nuovo ci incontriamo…

Morale della favoletta: Le autoritá (esempio 2 e 4) sono indubbiamente fini a sè stesse, visto che non aiutano gli altri, impegnate come sono ad assistere l’auto-sostentamento del proprio essere-in-quanto-contraddizione.
Piú la gente si sradicherá dalle istituzioni, piú tornerá il sentimento di umanitá proprio all'Homo Sapiens (es. 1, 3 e 5)

viernes, 18 de octubre de 2013

Malaga. Tanta cumbia e poco Picasso


- Malaga es Sudaka -

Malaga, fine giugno

La speranza ‘Malaga’ si era trasformata in un’altra scusa di cazzeggio, stavolta stile Erasmus. Ero finito nel giro di studenti d’oltreoceano del Cono Sur (Cile, Argentina e Uruguay) e mi sentivo a casa, il vecchio domicilio ‘Sud America’ che stavo tentando invano di ricordare col mio inchiostro scaduto.
Ero magicamente tornato tra i boludos e i weones di laggiù, festeggiando non si sa cosa fino all’alba e suonando cumbia per tutte le strade della città di Picasso.
Malaga non è un granché, a dir la verità. Tutta la provincia (Marbella, Torremolinos, Benalmadena) è governata da varie mafie di sviluppo edilizio, che hanno trasformato ormai il primo Mediterraneo in una S.p.a. fatta di hotel, resorts e lounge club d’elite.
E infatti proprio una russa mi prende da Algeciras direzione Malaga e, a dispetto dei forti problemi di comunicazione, riesce ad avvicinarmi di molti kilometri alla meta.
‘Devo entrare in un paesino per fare una cosa’, mi fa a gesti.
Entra quindi nell’enorme zona residenziale a lato dell’autostrada. Tutto è pulito e perfetto, una donna delle pulizie torna triste e scura a casa, mentre padroni (ancora più bianchi del solito) passeggiavano le loro future generazioni come fossero cani di razza.
Tutto era perfetto... si sorseggiava l’aria delle stradine apocalittiche di The Truman Show.
Qualcuno mi confermò le teorie non troppo avventate che avevo preso in quei pochi minuti di attesa: la mafia russa controlla la costa malaghina.
Sarà per questo (o forse no) che non incontrai lavoro a Malaga, scoraggiato dalla “crisi” e dalla terribile stagione. Così in un lampo di follia decisi di andare a Barcellona, ultima spiaggia, dalla quale eventualmente potevo salpare per la mia cara patria Sardegna.
E, almeno in un aspetto devo dire che forse commisi un grande errore: tornai sui miei passi con la speranza fondata che in Algeciras qualche famiglia marocchina mi avrebbe portato su 1200 kilometri fino al confine con la Francia.
Il mio addio a Malaga fu con il sole a zenit e una Ford Fiesta, guidata da un uomo con trent'anni e molte lamentele: “Ho quattro figli e sono disoccupato da 2 anni. Lo stato mi dà 400 euro al mese, ma che cazzo ci faccio, dimmelo tu pisha!”
Beh io con 400 euro al mese vivevo da re a Valencia, ma sicuramente non avevo quattro bocche da sfamare.

Ora a malapena potevo sfamare la mia.

sábado, 28 de septiembre de 2013

Kapok barbone! (come diceva il Celli)



- Yan -

    E proprio in quel di Tarifa, appare per strada Yan, il vagabondo tedesco incontrato in quel di La Linea, un’apparizione dietro un angolo.
‘O ciao, come va? Non ho casa’
‘Neanch’io’
Perfetto.
Vivere un giorno per strada è come vivere una settimana con domicilio. Modestamente posso vantarmi di essere stato quasi un mese per strada secondo questo strano calcolo, lottando per la sopravvivenza e sopravvivendo per la lotta.

La vita da vagabondo full-time si rivelò i primi giorni meno difficile del previsto, diviso com’ero fra l’aggiustare il budget con qualche canzone suonata per strada e l’inevitabile socializzare con altri “artisti” callejeros.
Qualche uomo ben piazzato mi offre una birra, credendo che il mio Bob Dylan fosse un Cat Stevens, interessandosi parzialmente alla mia storia, mentre altri mi vedevano solamente come un altro fottuto barbone trottamondo. Non avevo più rumbo, è vero: aspettavo una non so che manna del cielo che mai sarebbe venuta a bussarmi alla porta, ma la speranza si era presa una lunga vacanza, lasciando il destino solo e in cassa integrazione...

Perlomeno la gente di Tarifa non è fredda e noiosa come il vento che perennemente soffia nei vicoli del suo accogliente centro storico. Il nostro pranzo è mezzo chilo di gelato alla panna del discount, aiutati da un solo cucchiaino strautilizzato. In questo frangente si affaccia una signora da una finestra, offrendoci un piatto di paella. 'Mi avanza', mente.
Una maniera criptata per dirle che le facevamo pena.
Ma si accetta. Quando si tratta di mangiare, ci si riempie lo stomaco a forza sfruttando così tutti i momenti in cui si apre una proficua possibilità di sostentamento fisico.
E non ci sono regole. Quando capita, capita.
Ti vedi il portafoglio, conti e non arrivi mai alla decina. Giro l’angolo e con tutta la calma del mondo vedo Yan che si prende una pizza d’esposizione, una di quelle che mettono fuori il ristorante per attrarre i clienti.
‘L’avrebbero buttata comunque’, mi fa offrendomi la mia buona metà.

Suono Eddie Vedder per il lungomare ed una tipa italiana si avvicina e fa: ‘Anch’io la so suonare’.
Lei, col suo presunto ragazzo, stava senza rumbo, suonando per strada e vivendo del raccolto, come d’altronde stavamo facendo noi due. Lei era veramente simpatica, interessante e interessata. Perlomeno passammo la serata insieme tutti e quattro, tra una birretta e un porrito, tra una canzone e una chiacchierata.
Poca consolazione, visto che il destino l’avevano chiamato per la leva militare e presto sarebbe dovuto partire per l’imminente guerra.
Ed io con lui.

- San Juan, notte del 23 giugno -

Il vento continuava a sferzare violento avvicinando l'apoteosi piromana di San Juan, la mitica notte dei fuochi artificiali e dei falò in spiaggia: il nostro Ferragosto in due parole.

E siamo di nuovo io e Yan, (Bob Dylan e Muddy Waters) con un vino, un fuoco e due chitarre. Il crucco bestemmia quando la mista vola al vento, invocando chissà quale demonio della mala sorte complice di tale atrocità.
Suono i Delinquentes e magicamente si avvicina gente, chi cantanti di professione, chi skater internazionali e chi giovani fannulloni. E noi sfruttando la notte, il fuoco e l’alcol gratis.
Se penso al San Juan del 2012 posso concludere senza dubbio che non c’è assolutamente alcun paragone fra quello passato a Tarifa e quello passato a Valencia: in quest'ultima città infatti il delirio è maggiore e il vento quasi assente non riesce a sparpagliare i pensieri reconditi. 
Mi stava seriamente molestando questo forte incremento voluto da Eolo e, quando mi dissero che Tarifa vanta il primato nazionale di Tarifa in quanto a suicidi, non mi sorpresi nel notare un nero malestare flotare invisibile nell’aria come fumo radioattivo.
Ma forse era il nostro malestare a flotare, a dir la verità, la necessità di un cambio che ci strillava nell'orecchio torcendoci le budella dal dolore.
La polizia ci trovò a mattinata inoltrata accartocciati intorno a un falò morente, obbligandoci a sloggiare dalla spiaggia come due profughi affumicati.
E quello eravamo infine. Stavamo male, non potevamo dormire e il vento a volte ci faceva cadere per terra, deboli noi e forte lui.

Vaffanculo, me ne vado.
Io da una parte e Yan dall’altra.
‘Puoi fare tanti soldi per strada ‘che sai un fracco di canzoni’, mi fa col sorriso. Infine aveva realizzato un sogno quella notte: qualcuno aveva ballato al suo rock ‘n’ roll.
‘Ora posso cominciare a prendere il cammino per casa’, mi fa. 'In un paio di mesi chissà arriverò'.
Gli consiglio di passare per Vejer, tanti turisti e lavoro facile per le sue quattro canzoni blues. Prometto di andare a trovarlo a Berlino e lo lascio così alla stazione dei bus, insieme ad un vecchio barbuto inglese con un flauto ed una grande valigia vuota.

Io mi dirigo invece per la carretera direzione Malaga, ultima speranza dell’Andalucia.
L’ultima speranza in un pollice.

lunes, 23 de septiembre de 2013

Casa abbandonata con vista Africa




L’ultima città dell’Europa. La città dei venti, dei traghetti e dei nuovi continenti.
Il Sud in sé e per sé.
Dall’alto della mia tenda si staglia l’Africa illuminata, una nuova vita così vicina eppure così lontana.
L’arrivo a Tarifa è stato piuttosto burrascoso. Non tanto per l’autostop, quello funziona sempre molto bene qui in Andalucia. Il problema da affrontare era il fatto che di nuovo non avevo casa, lasciandomi così obbligato a improvvisare qualche metodo per liberarmi di zaino e chitarra.
Almeno per il giorno…
Al bar Coyote incontro Roberto, un gioviale torinese alle prese con la sua nuova attività. Chiedo se per caso gli serve un cameriere e mi mostra una ragazza che sta in prova.
Passa i Creedence sull’impianto stereo e già mi sale di vari punti. Gli affido zaino e chitarra per il giorno, spiegandogli un po’ la situation.
Mi intrinseco per le viuzze della splendida cittadina, piena di ristoranti, pub e negozietti familiari. Tutti si lamentano della bassa stagione e molti dei miei CV saranno sicuramente serviti a divertire qualche fallito ingegnere aerospaziale nel suo patetico tentativo di simulare un oggetto volante fatto di cellulosa e vane speranze.
Una tedesca con lunghi rasta biondi si interessa al mio destino e mi dice di chiamarla nel suo giorno libero. Ma non parla spagnolo e non può offrirmi casa.
Già, il problema casa.
Chiedo a dei tipi un po’ zozzi un luogo dove riposare le mie stanche membre e mi indicano una costruzione abbandonata in una spiaggia un po’ fuori mano. È uno spettacolo!
Metto la tenda nel patio per la notte, illuminato dai bagliori offuscati del porto di Tanger a riscaldarmi il cuore e lo spirito.
Così lontani i tempi in cui avevo una casa.
Così lontani i tempi in cui avevo un casa per più di tre giorni.

Il secondo giorno, dopo una quindicina di kilometri di camminata sulla spiaggia per lasciare CV a chiringuitos e campeggi, Roberto mi offre la sua casa, assicurandosi che non avessi tendenze sessuali etero-contrarie.
Si era fatto molto più affabile, mi offre pizza e birra raccontandomi un po’ della sua vita, del mitico bar a Torino, dove entrava la gente più disparata, dallo spacciatore di eroina di Agnelli ai giovani Subsonica. Conosce e ama tutta la scena musicale dei murazzi torinesi, condivide leggende e storie personali, accompagnate dal suo amico occhialuto “terrone settentrionale”, per dirla alla De Gregori.
A casa offre del cioccolato e da lì partono le storie del Gran Toro, della sua vita libera e di una finale stabilità, “ora a 42 anni”.
“Le cose vanno, ma il Toro non ti tradisce mai”
Cose che non posso capire, cose alla Liga, cose fin troppo meta calcistiche per le mie povere pagine virtuali.

e poi il romanticismo delle strade di Tarifa un giorno lo prostituì per un piatto di pasta e una doccia.
Eh sì, perché le speranze a Tarifa erano ormai andate, insieme a tutti i curriculum dati col sorriso a impiegati spesso molto scortesi. E così, tornai indietro sui miei passi e ripresi la nazionale direzione Vejer, uno dei paesini più caratteristici della Spagna meridionale.
Lì c’era infatti una bizzarra coppia ad ospitarmi per un paio di giorni di relax. Si rivelarono pacatamente sociali nella loro costante lotta di adattare le loro distinte vite al passo del candido paesino montano.
Lui, separato con due figli a carico, mostra molta eccitazione per la sua nuova vita, recriminando però continuamnte i molti anni perduti sotto il controllo pesante della moglie. Un sottone redento che un giorno incontra una polacca facendo autostop.
Da lì scatta l’amore, o qualunque cosa sia.
Lei, una scrittrice di sceneggiature cinematografiche, è completamente diversa dal suo amante: una libera viaggiatrice intellettuale. Tre fattori che piano piano si stanno impossessando di Jesus. O che Jesus cerca disperatamente di possedere per compiacere la sua dolce metà.
Non so cosa stessi facendo lì in realtà. Avevo la scusa di lasciare CV a Zahara de los Atunes, però la voglia e la speranza stavano piano piano scavando una grande fossa di disillusione, nella quale stavo lentamente cadendo.
Dopo qualche giorno tornai a Tarifa per San Juan, senza alcun piano e senza alcuna casa.
De prisa de prisa a rumbo perdido

martes, 17 de septiembre de 2013

Gibilterra. Fra bertucce e vagabondi



- Gibraltar -
         
      
           Gibilterra, metà giugno

 La pista di un aeroporto e una cabina telefonica rossa.
Così si presenta Gibilterra, un paese-nazione protetto da una grande rocca, casa delle prolifere quanto moleste scimmie semi-selvagge della specie Macaca sylvanus. Si dice che tale “nazione” rimarrà sotto il controllo del Regno Unito fino a quando tali bertucce permarranno a vigilare il territorio.
L’avessi saputo prima, le avrei sterminate.
Gibilterra, a livello di territorio, non fa assolutamente parte del Regno Unito: 35 caldi gradi infiltrati nelle vie paradossalmente britanniche, zeppe di turisti della madre patria a petto nudo. Qualche andaluzo sorseggia birra in un classico pub d’oltremanica mentre le notizie mostrano la regina nel suo nuovo vestito da milioni di pounds.
E, a proposito di soldi, i prezzi sono alle stelle (si paga in sterline), e per comprare da mangiare tutti vanno in Spagna, passando periodicamente la ridicola dogana. Dall’altra parte si presenta cruda La linea de la Concepciòn, una insolita residenza per molti italiani e altrettanti stranieri.
Non è in realtà niente di particolare il paesino in questione: qualche lunga spiaggia, qualche bar e molti arabi per strada. Mi ricorda in molte parti Ladispoli, dove il destino promedio di chi non finisce la scuola è quello di diventare parrucchiera (lei) e spacciatore (lui).
La versione nostrana di cheerleader e quarterback…
Ma anche tanti greci, polacchi, russi e tedeschi popolano la cittadina, visto che a Gibilterra si guadagna bene e, di conseguenza, la maggior parte si prende una stanza a La Linea, dove  gli affitti risultano decisamente meno cari. Il settore delle scommesse sportive è il lavoro più richiesto e ben retribuito, mi dice Michele, un simpatico umbro incontrato in piazzetta, che mi confessa che in realtà tutti lavorano lì: ‘8 ore davanti al computer, rispondere 4-5 mail al giorno, vederti una marea di film e 1700 euri a fine mese’.
Un lavoro che solo un italiano può compiere bene fino a fondo…
E sarebbe stata veramente un’uscita facile dal problema “occupazione”, che tuttavia mi assillava. Un tale Barry mi offre la sua casa con tanto di piscina al 17° piano, e, con poche speranze, continuo imperterrito a lasciare CV a destra e a manca, stavolta in versione bilingue.
Conosco anche un tedesco vagabondo: 37 anni, una chitarra e nessun portafoglio.
‘Faccio i miei 4-5 euri quotidiani suonando un paio di canzoni blues per strada. Poi me la godo, una birretta, un caffè e in spiaggia notte e giorno’
È rosso in faccia come tutti i tedeschi vergini e gli faccio i complimenti, per la rara scelta di prendere armi e bagagli e lasciarsi andare per la prima volta nella vita. Mi confessa infatti che quello era il suo primo viaggio.
E pare proprio che lo spirito continui a perseguitarmi, una vita che continua a seguirmi…

Ma sì, ho deciso di prendermi un po’ di pausa infine, troppo da dire e troppo da assimilare…
Il cammino un giorno si fermerà a fare una siesta, ed io con lui...

jueves, 18 de julio de 2013

Cercasi lavoro al sud

Primi di giugno, Conil de la Frontera                      



“La disoccupazione giovanile in Spagna è arrivata al 56%”
Così mi assicurano le persone che conosco durante questi giorni riguardo alla possibilità di trovare un lavoretto qui nel territorio iberico.
“E la provincia di Cadiz registra la percentuale più elevata”
Ho deciso di farmi la costa da Cadiz a Gibilterra, lasciando CV a chiringuitos, bar, ostelli… Qualsiasi cosa mi fornisca una stabilità stagionale.
Molti si mettono a ridere quando gli chiedo meccanicamente: ‘Salve, non è che per caso posso lasciare il CV, in caso remoto di un lavoro?’
“Non abbiamo lavoro neanche noi”, fanno molti, o “La stagione è bassa”, o “Guarda la pila di curriculum”. Uno gentilmente mi fa notare che con i curriculum si diverte a fare aeroplanini di carta.
La figura del cercatore di lavoro è classicamente una persona mediamente ben vestita, con una cartellina stile ufficio che raccoglie i vari CV fotocopiati in quantità ridicolamente alte, accompagnati da un mezzo di trasporto, quali motorino o auto, e dal loro fondamentale Blackberry.
In questo un po’ distruggo l’idea del cercatore di lavoro.
Perennemente con i jeans che mi calano dal poco mangiare e con lo zainetto contenente Yashica, curriculum e baguette, eccomi camminare infiniti kilometri per raggiungere mete di speranze vane.
Così fu l’esperienza a Chiclana, 10 km di lungomare curricolati in un giorno.
Per non parlare qui di Conil.
Perlomeno ogni mattina che esco per partire di nuovo verso nuovi lungomari, mi metto nella carretera agitando il pollice all’aria, sapendo che, presto o tardi, qualche veicolo a quattro ruote si fermerà a raccattarmi.
E così mi feci El Palmar e Caños de Meca, dove ebbi l’opportunità di suonare varie canzoni al ristorante in cambio di una paella e di una birra.
Ma il bucio di culo (inteso come fatica, cari romani) giornaliero è immane. Molti datori di lavoro mi avranno visto come un profeta uscito dalle dune, disidratato e con pochi viveri. E così era in fondo.
Nell’oretta in cui tutti i negozi erano chiusi, mi ritrovai in una spiaggia nudista e, stanco morto, mi sdradai sui miei jeans+maglietta come asciugamano, addormentandomi all’istante col culo nudo che salutava il sole.
Grande errore, perché per i giorni che sono seguiti, non potei fare a meno di ignorare il dolore della scottatura intima, una sorta di calcio in culo perenne.
Domani credo di andarmene di nuovo, o verso Tarifa o verso Gibilterra, vedremo un po’. Qui le soluzioni si sono esaurite, anche se la mia opportunità l’ho avuta.
Giusto qui a Conil un ristorante italiano cercava un cuoco per gestire il ristorante. Fui a parlare col capo Michele e con la sua figlia buzzicona, e mi sembrava di stare in famiglia. Il pizzaiolo Michele era un terrone molto simpatico, un ibrido tra mio padre e Pasquale. Mi racconta la sua vita e io la mia, e ci troviamo presto ad agio. Rimango là un paio d’orette, vedendolo lavorare e valutando l’offerta che mi aveva proposto.
‘Io ti ci farei pure provà a sta’ in cucina’, mi fa, ‘ma se non c’hai mai avuto a che fa, te sarà impossibile gestì tutto il ristorante’.
C’aveva ragione e, con un sorriso, rifiutai di fare la prova lasciando il rimorso sulla porta.

E così, tra un mate e un piatto di pasta se ne vanno le giornate.
Aspettando il momento
e vivendo l’attesa

lunes, 8 de julio de 2013

Cammino verso l'Atlantico


Cadiz, primi di giugno

Finalmente l’oceano, il tanto desiderato oceano.
Poche settimane fa salutavo l’Europa col sole che nasceva: lo stesso sole che ora invece muore guardando l’America (perché ce n’è una sola di America, si sa).
Faticosa la strada da Sevilla, cinque ore sotto al sole a 35 gradi aspettando qualche buon’anima che mi portasse a porto offrendomi, eventualmente, un sorso d’acqua. Il desvio dell’autostrada non era poi il miglior luogo per aspettare qualche spirito prescelto e, vista la sfiducia insita nella persone di una grande città, il calvario per uscirne fu duro e sudato. Qualche stronzo mi mandò gratuitamente a fanculo, mentre altri ridevano strillando: ‘Tanto non ti prenderanno mai!’.
Stavo per demordere quando un signore si ferma offrendomi uno strappo sulla nazionale, e da lì, tutto a gonfie vele. Mi prende poi un giovine che si preparava per il suo lungo viaggio in Birmania, appoggiando il progetto di varie ONG. Incantato mi parla di Bruxelles e delle infinite possibilità che offre, togliendomi almeno per questa volta l’obbligo di narrare le mie avventure.
Passo Jerez e mi piange il cuore, patria de Los Delinquentes e del flamenco più callejero e gitano del mondo.
Ma non ho tempo, alla prossima…

Finalmente l’oceano, il tanto desiderato oceano.
Lo contemplo solo, mentre i miei vicini di tenda iniziano una pesante lite contro un gruppo di ragazzi bevendo nella spiaggia.
‘Andate a fare baldoria da qualche altra parte’, strilla furente la voce della tenda. ‘Sennò tiro fuori il coltello, stronzi’.
Mi dissero in seguito che il locale residente della spiaggia la Caleta di Cadiz era un artigiano che da ormai vari anni si era insediato a vivere con la sua consorte sotto i pilastri dell’unico edificio della playa.
E io questa notte condividevo il suo territorio, con le onde come culla e la luna come madre che docilmente la scuote.
Nemmeno 24 ore in Cadiz e già gli eventi rimbombavano nella testa come palline in un flipper. La maggior parte delle storie si erano create nella ricerca di una casa. Questa volta Couchsurfing aveva fallito, e non mi rimaneva altro che ricevere info dai senzatetto locali. Provai a chiedere ospitalità in una casa okupa, ma la forte organizzazione comunisto-fascista insita nella liberalità delle loro idee era contraria all'aiuto verso il prossimo, senza alcuna eccezione.
E così, non so come, riuscì a imbucarmi in un ostello, dove un simpatico quanto bizzarro ungaro mi aveva fatto d’anfitrione, invitandomi nella terrazza ad una splendida cena fatta di cibo riciclato.
Questi mi narra della sua vita, un'esistenza da viaggiatore ora stabilizzato. Si era fatto camminando da Oporto a Cadiz, durante quasi 6 mesi, dormendo dove capitava e improvvisando ogni secondo. Mi fa vedere il suo quaderno pieno di scritti, disegni e cartacce varie: una vera opera d’arte.
Ora stava sfruttando l’opportunità di lavorare e vivere nell’ostello per soddisfare con calma le sue varie inclinazioni artistiche, allontanato da quella società così ostile che richiedeva denaro per sopravvivere.
Sulla terrazza, infine, c’era tutto il mondo, come spesso succede negli ostelli, ma la buena onda non aleggiava nell’aria, visto che la maggior parte parlava inglese e ciò mi urtava profondamente i nervi.
Di tutta la gente dell’ostello, in realtà, giusto una inglese e una bulgara si erano rivelate supersimpatiche, forse proprio perché parlavano spagnolo. La prima comincia a offrirmi il mondo. ‘Dai, andiamo a mangiare un paio di tapas’, mi fa. Non avevo mangiato praticamente niente per tutto il giorno visto che il portafoglio risuonava a rame e zinkel, lasciandomi così fortemente incline alla gustosa offerta.
E lì una birra, due, tre, concertito flamenco, quattro, cinque, discoteca da turisti e già si fanno le quattro. ‘Prima che salga la luce del sole voglio montarmi la tenda’, dico, avviandomi così felice per le viette della splendida Cadiz, direzione Caleta.
E lì a salutare il mare, di nuovo...

Finalmente l’oceano, il tanto desiderato oceano.

martes, 25 de junio de 2013

Olivi, birre e flamenco

Un mese senza aggiornare il diario, da dove cominciare?
'Quella che sembra una fine spesso è un inizio'. Con questo spirito me ne andai suonando i soliti due accordi alla Velvet Underground, mentre Granada si allontanava progressivamente alle mie spalle.
Essendo partito di giorno inoltrato, non potevo pretendere di arrivare in autostop a Cordoba nello stesso, quindi la sorte mi lasciò al tramonto in quel di Alcalà la Real, un placido paesino perduto tra gli oliveti della Carretera Nacional 432. Dei tipi seduti al bar mi fanno: ‘Weee vieni qua e cantaci un flamenquito’. Era tardi e, ormai rassegnato all’idea di fermarmi la notte in quei paraggi, feci vibrare l’aria con qualche tema di gradimento comune, guadagnandomi un paio di rum e cola offerti gentilmente dai presenti.
‘Se non c’avessi moglie, ti ci porterei io e Cordoba’, fa uno sulla mezza età già bello brillo, ‘e lì festa per una settimana’.
E infatti proprio questo mi aspettava a Cordoba: la grande Sagra Popolare, lo sfacelo completo. Di questo ed altre cose pensavo quando montai la mia cara tenda (4 euro al Cash Converters) sotto uno dei tanti olivi della zona.
Il silenzio era solenne e la paura di dar voce alla guitarrita crebbe. Quando il freddo venne a cogliermi steso ad ammirare le stelle, entrai nel caldo della casetta sperando che i morti del cimitero adiacente non si svegliassero proprio quella notte a cagarmi il cazzo.

Feria de Cordoba 2013

E, dopo tanta strada (con camminate annesse), finalmente la Feria de Cordoba. La gente, i vecchi e le tradizioni possono essere simili alle nostre, ma il livello di sfascio giovanile (e non solo) non è paragonabile nemmeno all'alcolismo nostrano perduto nei peggiori bar delle Alpi.
Ammetto che ci sono stati giorni difficili, visto che spesso si iniziava a bere (e mangiare) alle 2 di pomeriggio per finire all’alba del giorno successivo, ma devo dire che infine ho resistito strenuamente. Davanti le casette messe su apposta per la Feria, ecco kilometri di giovani di ogni sesso e razza con i loro botellones preparati a casa, il ghiaccio rigorosamente al fresco e bicchieri di plastica per simulare i cocktails casarecci.
E, in tutto questo spreco, una bulgara denotò pacatamente la possibilità concreta di riciclare alcol risparmiandosi così la bega di portarselo da casa. In effetti funzionò molto bene questo sistema di ‘non si butta via niente’, visto il forte livello d’ebbrezza locale: vasi o intere bottiglie venivano lasciate lì sole al loro destino.
O meglio, al mio destino.
Tante situazioni esilaranti che non sto qui a raccontare per censura o per pesaculismo, definendo in finale la settimana passata col Croccheta, col Manu, con la ciociara e con la Vecina come l’inizio dell’abbandono temporaneo della scrittura del libro.

Come sempre dico, gli spagnoli sono proprio esagerati quando si tratta di cazzeggiare.
E io cerco umilmente di aiutarli…

viernes, 21 de junio de 2013

Ode a Monte Mario


- La Alhambra -


Granada, 24 Maggio

Passano i giorni e ancora non riesco ad andarmene da Granada. La città mi opprime e non riesce più a darmi stimoli, ma continuo a perdermi per le sue strade come un contadino in una metropolitana.
Cosa mi fa rimanere?
Credo la sensazione di stabilità, di una possibile ragione per non muoversi più. O semplicemente il mal tempo.
Ora che è tornato il sole infatti la mia voglia di prendere tutto e andare a fanculo è rinata, fomentata dalle varie conclusioni portate a termine in questi ultimi giorni, riassumibile in un assioma principale: non potrò viaggiare per sempre.
La luna piena riporta ricordi di Buenos Aires, mentre scatta la mezzanotte di un nuovo giorno, una nuova opportunità per dare un’ulteriore svolta al corso della vita.
Mi sorprendo quando una simpatica canaria mi fa: ‘Questi giorni mi sono fatta tante domande… Il tuo arrivo e varie cose che mi sono successe ultimamente mi hanno fatto capire che sto scivolando sulla vita, lasciandola come in pilota automatico. Non la sto vivendo abbastanza, e pensare di potermi ritrovarmi sul letto di morte con il rimpianto di aver sprecato completamente il mio tempo mi terrorizza’
Già, per questo prendo tutto e me ne vado a fanculo. Con tutti i pro e i contro che tale decisione può comportare.
È passato un mese dal mio ritorno in Europa e l’incertezza sale ogni volta che penso: ‘Ma che cazzo sto scrivendo? Servirà a qualcosa?’.
Ormai le tipe mi presentano senza il mio consenso come ‘Cabezon, cittadino del mondo’, mentre io stizzito faccio: ‘Sono di Monte Mario, cazzo!! No del mondo, che sono ‘ste stronzate hippie?’.
Perché la casa sempre te la porti con te, in fin dei conti. Prende la forma di un piatto, di una canzone, di una chitarra o di un gesto. Che voglia o no, sto sempre a Monte Mario, anche se lontano migliaia di kilometri.
Ora, sdraiato su una terrazza granadina, mi sento un po’ più libero, sebbene la voglia di stendermi sull’erba e perdere la mia vista nei cammini illuminati della volta stellata si fa sempre più forte.
La città comincia ad angosciarmi con le troppe informazioni inutili che rilascia nell’aria satura di banalità. La città stanca le membra, il corpo e lo spirito.
E una città senza mare, per di più, uccide anche la speranza di redimersi completamente.
Proprio oggi, camminando per strada, riconosco nella folla il volto del gallego musulmano che mi aveva portato in autostop da Lanjaròn a Granada. Non faccio in tempo a dirgli ‘Hey!’, che già ha girato l’angolo diretto chissà dove.
Queste visione un po’ joyciana, mi ha confermato il rimpianto di aver lasciato Beneficio così presto, visto che l’ambiente della comunità era quello che realmente necessitavo. Hippie a parte, la vita si conduceva semplice e bucolica, i pasti erano molto più apprezzati e la gente si apriva maggiormente nelle basiche relazioni sociali.
Infatti, ho paradossalmente conosciuto più gente in comunità che non in città!
Perlomeno, il ritorno a Granada mi ha fatto però comprendere varie cose, perso più volte nella tentazione di un ritorno alla follia della stabilità.
Dopotutto sono ancora qui, solo qui alle quattro del mattino, l'angoscia e un po' di vino, nel tentativo di dare un senso al fluire delle cose.

Tutto scorre, e io ci sguazzo… 

miércoles, 5 de junio de 2013

Kapok e Lechu incontrano il Rambo hippie

- Rambo hippie e il Lechuga -


20 maggio, Granada

Con ardore di ritorno nelle terre dove tradirono Garcia Lorca.
Con ardore di ritorno ad una nuova vita.
Granada è piovosa, così come l’Alpujarra che ho lasciato con un po’ di malinconia. È venerdi, tutti sono in ansia di festa, mentre io, per una volta, non riesco a capire cosa devono sempre festeggiare ‘sti spagnoli.
La pioggia cade antipatica sul mio zaino e sulla mia chitarra, mentre in lontananza sento un ‘Cabezoooon!’.
È Lechu, l’argentino artista di strada conosciuto giusto una settimana prima in quel di Granada. Ha molte abilità circensi e, grazie a queste, riesce a buscarsi la vita da ormai vari anni.
Ma la legge lo persegue, la burocrazia lo attanaglia, il re lo vuole morto.
Perché, si sa, le cose hanno più diritti delle persone: se non lavori non sei benvenuto nel Vecchio Mondo.
O meglio, se non versi i contributi, non sei benvenuto in Europa.
Questa la dura legislazione applicata agli immigranti extra-europei, costretti a sposarsi o a sommettersi alla volontà capitalista di lavorare-dormire, lavorare-dormire. 
E morire.
Queste le grandi preoccupazioni che mi espone il Lechu, nascosto dietro un paio di occhiali con rifinitura verdi da stage. Ha paura di tornare e perdere tutto quello che si è creato in tre lunghi anni. Ha paura di quello che ha lasciato dietro e di quello che potrebbe ritrovare.
Ha paura fondamentalmente di un foglio che non possiede.
Tra una birra e l’altra, sotto la fredda pioggia della Sierra Nevada, ecco che si avvicina un tipo misterioso con una domanda: ‘Non è che sapete dove posso trovare un bastone da camminata?’
Cash Converters.
Sempre e solo Cash Converters.
L’uomo, sulla mezza età, sembra tanto John Locke della serie tv Lost: è vestito tutto di militare con buoni stivali da trekking, ha pochi capelli e una faccia scolpita dalle intemperie della vita.
‘Odio Granada’, ci fa. ‘è così vuota e fredda’.
Verissimo, in tali condizioni, tutto aveva cambiato prospettiva. La turistica Granada era lontana anni luce, anche se con soli 5 minuti si poteva arrivare a passeggiare felicemente per le borghesi strade del centro.
‘Sti cazzi, domani prendo armi e bagagli e me ne vado giù al mare, non ce la faccio a vivere senza. Come cazzo fanno a vivere qui??’
E, con l’aria di chi fa finta di andarsene ma vuole restare, gli offriamo un sorso di birra per farlo sentire più a suo agio, col fine di collezionare le preziose storie che sicuramente aveva nascoste dietro la fredda faccia disillusa.
‘Mi sono rotto il cazzo di come tutto funziona’, fa. ‘Mi sono rotto il cazzo dei politici e dei capi d’ufficio. Mi sono rotto il cazzo della polizia e delle sue repressioni
‘Sapete ragazzi, io ero militare, sono andato in Bosnia, Gambia, Iraq per combattere le loro guerre. E dopo tanti anni, mi buttano in un ufficio di merda della Guardia Civil.
‘Ma non è questo che mi fa incazzare: se volessi potrei tornare senza problemi al vecchio lavoro di militare. Quello che mi fa girare le palle sono tutte le cose che ho scoperto, tutti gli impicci di merda che ci sono sotto.
‘Sto scrivendo un libro su cose che la Commissione non vorrebbe affatto rendere pubbliche, ogni mazzetta e compromesso all’interno del sistema, citando i nomi in maniera simbolica. Zapatero diventa Botero e così via, per associazione…
Comincia a rubricare un fracco di nomi ed organizzazioni, citando cose fin troppo dettagliate per essere ricordate da questo mio breve interludio. Ma sicuramente rimane un grande personaggio il Rambo Hippie, zaino militare caricato con 5 kili di fotocamera analogica e con pochi vestiti.
‘Io qua c’ho qualche amico, oggi un dottore mi ha dato 50 euro, ma comunque voglio camminarmela fino al mare’ il pazzo!. ‘Ah, e scusa Cabezon, passami l’accendino di nuovo’
Continua a piovere e non ho un posto dove dormire.
‘Seguimi’, mi fa il Lechu portandomi nel suo vecchio barrio, ‘seguimi e più tardi vieni a casa mia’.
La piazzetta che mi mostra è vuota: c’è solo una croce con una scritta in verticale, Jovenes sin futuro. Ci ripariamo sotto l’entrata di una casa e un simpatico vecchio arriva e ci fa: ‘Ragazzi, molestate, allontanatevi per favore’.
‘Salutami Franco!!’, strilla sarcastico il Lechu in direzione del vecchio.
Riguardo la croce e mi riprometto di tornarci senza pioggia per una bella foto di ricordo.

Un ricordo per i giovani senza futuro.

jueves, 30 de mayo de 2013

Kapok si infiltra nella comuna hippie di Beneficio...



Cosa mi sarei dovuto aspettare da Granada e dintorni?
Tanti begli andalusi col sorriso che mi urlano musica nelle orecchie.
Maddeché!, tutti stranieri di merda che vedono la Spagna come il paese liberatore dai loro mali interni. Però, io dico, prendetevi la Spagna, ma perché proprio la mia Andalucia?? Andatevene, non so, in Cantabria, perché no?? Ma in Andalucia no!!
Ed ecco il virus inglese penetrare nelle strade di Granada, tante piccole speranze di insegnare la propria lingua madre nel cuore del Sud spagnolo.
Ma a chi cazzo frega dell’inglese quando c’è il dialetto andaluso??
Ancora non capisco, ma tante fighettine che riciclano frutta e verdura con la carta di credito piena, si riempiono così la vita: stipendio base e soldi extra dalla Regina, per permettersi di fare festa ogni sera, limonando qualsiasi cosa si muova.
L’illusione di flamenco e terrazzite scompare piano piano che Granada si trasforma in una normale città europea, senza stile né personalità. Tutti parlano inglese, e io vomito risentimento e disillusione.
Frustrato dal colpo basso inglese, decido di emigrare per nuove terre più sacre. Una mia amica si era creata, da vari mesi, una casa nella comunità hippie di Beneficio, situata nella pura montagna tra Orgiva e Canar, due paesini sotto la Sierra Nevada.
Faccio autostop e mi prendono su un arabo e una coppia di inglesi.
Già comincia male e, infatti, scopro che tutti i dintorni della Alpujarra sono addensati di inglesi, olandesi e tedeschi mezzi hippie, trasportati in queste terre da uno stupido libro dell’ex batterista dei Genesis.
La comunità in sé stessa è fondamentalmente inglese. Anche se i più grandi personaggi di Beneficio sono dell’Est Europa, la maggioranza si costruisce di placidi nord-europei, fuggiti dal terribile freddo delle loro terre rinnegate.
E nemmeno fa troppo caldo, a dir la verità. Le nuvole oscurano spesso il cielo, provocando sporadiche piogge fastidiosamente umide.
Si dice che qualcuno si sia impiccato nei boschi da poco tempo, cause ignote che qualcuno vuole associare ad un bad trip.
Ma non c’è niente da dire: il paesaggio è strappalacrime, laddove il vento disegna le case sparse per tutta la montagna con le linee del sole morente dietro la montagna (ore 20.32), cambiando così ogni prospettiva di illuminazione.
Trovo nel mio vagabondare qualche casa unica: vista 10\10, pareti in pietra, piscina e pannelli solari.
E sì, tutta la comunità si alimenta di pannelli solari per ricaricare il loro PC, il loro cellulare e il loro iPod. Perché non sono hippie nel vero senso della parola, perché sono hippie nuovi, hippie postmoderni.
Mai mi sarei aspettato infatti di trovare un Internet Café in una comunità: un satellite rubato a chissà chi, fungeva da segnale wi-fi per una buona cerchia di metri, allestiti adeguatamente con tavolini e prese della corrente.
Il segnale gratuito era disponibile per chiunque avesse un attrezzo che si collegasse alla rete, altrimenti, il caro gestore del “locale all’aria aperta”, avrebbe offerto gentilmente il suo, dietro retribuzione di una somma non generica di denaro.
Il duro, vile denaro che Beneficio tanto cerca di rifiutare.

- Una tedesca ricaricando il suo iPhone nell'Internet Point -

Perché si, anche professando pace e amore, l’erba costa comunque 2,5 euro al grammo, e in qualche modo bisogna pure possederla in quantità.
Le case sono in buone condizioni: alcune si limitano a tende, altre a costruzioni di legno più complesse e bilocali. La maggior parte non hanno forno né frigo, ma fissa è la stufa.
A livello primitivo, prima si combatte il freddo, poi qualsiasi altra cosa.
Il fuoco, la necessità di un fuoco. A scuola ti dicevano: 1 serve per riscaldarsi 2 serve per allontanare le bestie.
E di bestie ne avevamo. Tra gatti e topi, qualcuno si mangiò senza ritegno buona parte della mia preziosa baguette e dei miei plum cake mattutini.
Ma non è questo il problema sociale di Beneficio.
Il problema di Beneficio sono gli uomini, la stessa nuova società che si promisero di creare. Ma, finchè c’è l’uomo, non ci potrà mai essere nessun cambio nell’organizzazione dei suoi simili.
E quindi, quelli vicino alla Grande Tenda, hanno la funzione di amministratori e giudici in quanto più vecchi ed hardcore, mentre quelli in alto persi per la montagna generalmente non posseggono nessun interesse nelle politiche della comunità.
Politiche che spesso si riconoscono per vanti e lotte interne senza alcun senso. ‘Pare proprio che l’erba gli abbia dato alla testa’, mi dico deluso; ma in realtà è semplicemente lo spirito dell’essere umano che porta tutto ad un’organizzazione che altro non è che pura ed autentica distruzione di libertà.
Molti se ne fregano, come ho detto, di quello che succede ‘di sotto’, ma comunque se ne parla, si citano nomi e si danno giudizi, anche se pacati. è come vivere in un piccolo paesino, timorato della Polizia e diffidente delle altre tribù.
Perché, a contrario delle città, sono i vicini di casa il riferimento per la quotidianità, fornendo così amicizia, aiuti e notizie. Tutto è reciproco e vivere delle piante diventa qualcosa di più reale, non più legato a idee e credenze, ma a semplice necessità. Senza soldi, l’unico che rimane è fare gli artisti di strada o barattare il poco che si coltiva.
E così, i pranzi più soddisfacenti della mia vita.
Riuniti in circolo con un triplo OOOOOOHMMMM, iniziava il rito del cibo, fornito per quanto possibile di tutti i nutrienti necessari per sopravvivere. Il lievito di birra copre le necessità di vitamina B, assimilata da carne e formaggi che difficilmente entrano nella comunità. Il pane si fa in casa e l’acqua si prende da una delle tante fonti della valle.
Si caga e si piscia all’aria aperta, riunendo tutto lo sterco in un buco coperto di rami e foglie secche, in attesa di una futura proprietà fertilizzante della merda umana.
‘La cacca umana’, mi fa Charlotte, ‘ci mette un anno per depurarsi della sua tossicità’.
Nemmeno nella merda siamo utili!
La legna diventa un problema nei giorni piovosi e umidi: accendere un fuoco diventa un’impresa con tutti i ciocchi bagnati. Ma comunque si sopravvive, perché altro non si può fare in Beneficio.
Pochi hanno progetti per il futuro, vivono per il presente e si prendono il tempo per fare quello che vogliono. Fumano, suonano e disegnano spirali psichedeliche, mentre il sole diventa luna e la luna ridiventa sole.
Non c’è giorno, non c’è ora, non c’è obbligo.
Vivere è stato indubbiamente interessante, e scrivere ancora di più, circondato com’ero da soggetti particolare ed interessanti.
L’unico che ricorderò a lungo è sicuramente Klapka, un polacco che si è girato l’Europa per più di 10 anni, senza casa e senza rumbo, perso tra gli amati Balcani e tra festival di qualsiasi genere. Parla dei Rainbow Gatherings come un cattolico parlerebbe di Gesù Cristo: ‘è che tutti sono più uniti e più pazzi. Certe avventure che non vi racconto. Anzi si. Stavamo auto-stoppando per il Rainbow e ci becchiamo questo bosniaco che aveva il sogno di cambiare la sua vita a Barcellona. Gli raccontiamo del Rainbow e questo fa: ‘No, ragazzi vengo anch’io, sono curioso’. Noi cercavamo di dissuaderlo, perché era un po’ un soggetto e c’entrava veramente poco col Rainbow. Ma dopo due giorni di festival, lo ritroviamo senza cravatta né vestiti strillando: ‘Al culo Barcellona, io rimango qua ragazzi!’’
E così via, per ore ed ore a raccontare le sue avventure col volto pieno di saggezza e conoscenza della vita. Non era un coglione né un hippie, poco fondamentalista e tanto umanista: senza credere nell’essere umano, sapeva che c’era ancora qualcosa in esso che poteva essere salvato. E lo cercava ogni giorno della sua vita.
Ora, dopo tanto nomadismo, ha deciso di fermarsi con la sua compagna a Beneficio, fare figli e godere della valle e della bella casa costruita dal nulla.
‘Sono venuto qui per una notte e ormai sono passati 11 anni’, fa un altro mentre cercavamo disinfettante per la ferita di un amico finlandese: un cane lo aggredì senza troppi problemi, lasciandogli sangue, dolore e infezione.
Beneficio: una casa per stanchi viaggiatori e per giovani curiosoni.
E per pseudo-scrittori con pochi soldi.